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Energia e lavoro. Ecco le professioni del futuro.

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Gli italiani vogliono essere protagonisti della rivoluzione energetica, ma si sentono frenati da ostacoli economici, burocratici e informativi. Crescono gli investimenti e le nuove figure.

Gli italiani vogliono essere protagonisti della rivoluzione energetica, ma si sentono frenati da ostacoli economici, burocratici e informativi.

È quanto emerge dall’indagine realizzata da Imc Holding, realtà leader nelle soluzioni per l'autonomia energetica e creatrice della prima Grande Comunità Energetica Nazionale che in pochissimi mesi ha raggiunto numeri significativi: il network comprende circa 200 produttori e 400 consumatori tra clienti residenziali e pmi. Dallo studio – condotto su un campione rappresentativo di 10mila cittadini tra i 25 e i 65 anni – emerge un quadro chiaro: il desiderio di produrre energia pulita in autonomia è molto diffuso (58% degli intervistati), spinto principalmente da motivazioni economiche e ambientali. Tuttavia, l'accesso a tecnologie come il fotovoltaico e alle nuove comunità energetiche è ostacolato da barriere percepite come ancora troppo alte, prima fra tutte il costo iniziale e la complessità burocratica. Nonostante l'Italia sia al centro di importanti iniziative per la transizione verde, il sondaggio evidenzia un senso di insoddisfazione diffusa: due italiani su tre ritengono che il Paese stia facendo troppo poco per agevolare la diffusione delle energie rinnovabili.

Una distanza che, se colmata, potrebbe liberare un enorme potenziale di innovazione sociale, economica e ambientale. La consapevolezza sul tema non è ancora diffusa: solo il 18% degli intervistati si definisce “molto informato”, mentre il 42% “abbastanza”. Il restante 40% ammette di avere poche (30%) o nessuna (10%) informazioni in materia. Analogamente, le comunità energetiche rinnovabili – iniziative di condivisione dell’energia pulita tra cittadini – sono note pienamente solo al 25% del campione; un altro 50% ne ha sentito parlare e l’ultimo 25% non le conosce affatto. Eppure, la voglia di attivarsi in prima persona rimane altissima. Il 58% degli italiani dichiara di voler assolutamente autoprodurre energia rinnovabile (ad esempio installando pannelli solari in casa), mentre un ulteriore 30% si dice interessato ma desidera più informazioni prima di compiere il passo. Solo il 12% non è attratto dall’autoproduzione. In sostanza, la grande maggioranza vorrebbe diventare prosumer – consumatori-produttori di energia – sia per ridurre la bolletta che per contribuire alla tutela ambientale. I benefici più citati delle rinnovabili sono il risparmio economico (72% degli intervistati) e la sostenibilità ambientale (61%), seguiti dalla maggiore indipendenza energetica (35%).

Tali aspettative positive alimentano l’entusiasmo verso soluzioni come il fotovoltaico domestico e le comunità energetiche. Di contro, emergono fattori che frenano l’adozione su larga scala. Gli ostacoli principali percepiti sono i costi iniziali elevati (64% delle risposte) e la burocrazia delle procedure (46%), seguiti dalla carenza di informazioni (32%). Nelle risposte aperte molti cittadini menzionano proprio “costi”, “burocrazia”, “poca chiarezza”, “incentivi poco chiari” e “tempi lunghi” tra i timori concreti. In altre parole, anche se esistono incentivi pubblici, vengono spesso percepiti come poco accessibili o comprensibili a causa di iter complessi. L’attenzione verso le alternative verdi è incentivata anche dal caro-bolletta: l’83% degli italiani ritiene che la spesa energetica incida molto (39%) o abbastanza (44%) sul bilancio familiare. Solo il 15% la giudica poco gravosa e appena il 2% per niente. Questo onere rafforza l’urgenza di soluzioni come l’autoproduzione e la condivisione dell’energia.

Le CER-Comunità energetiche rinnovabili riscuotono particolare interesse: il 41% aderirebbe senza esitazione a una comunità nella propria zona, e un altro 46% lo farebbe ma con più informazioni a disposizione. In totale, quasi l’87% degli intervistati si dichiara potenzialmente favorevole a partecipare, un dato che indica un consenso trasversale. Solo il 13% rimane scettico o non interessato all’idea.

Nonostante l’entusiasmo “dal basso”, prevale la percezione che il Paese sia in ritardo. Il 65% ritiene che l’Italia non stia facendo abbastanza per promuovere le rinnovabili, contro appena il 23% convinto del contrario (il restante 12% non si esprime). Molti cittadini giudicano quindi l’impegno nazionale ancora insufficiente rispetto alle loro aspettative.



Nuove professioni e nuove competenze


Secondo le previsioni, nei prossimi anni il fabbisogno complessivo di nuovi lavoratori in Italia — nei settori pubblici e privati — sarà compreso tra i 3,4 e i 3,9 milioni. Un dato che riflette due tendenze chiave: la crescita della domanda di lavoro e il turnover legato al pensionamento. All’interno di questo scenario generale, il settore delle utilities — che comprende energia, acqua e rifiuti — gioca un ruolo centrale. Qui, infatti, la transizione energetica, la digitalizzazione e le politiche di sostenibilità stanno accelerando la domanda di nuove competenze. Ma il vero problema non è la mancanza di lavoro: è l’assenza di professionalità adeguate. Non basta più essere ingegneri o tecnici qualificati: oggi serve una preparazione che integri capacità analitiche, digitali, relazionali e gestionali. Servono nuove figure, capaci di muoversi in un contesto in cui l’energia non è più solo un servizio, ma un ecosistema da gestire in modo interconnesso.

«Immaginiamo per un momento una città del futuro - spiega Marco Cimelli, Hr manager presso Gruppo Enercom -. Le strade sono illuminate da lampioni intelligenti che regolano la loro intensità in base al passaggio delle persone. Le case producono energia grazie a pannelli solari e la immagazzinano per i momenti di maggiore fabbisogno. Le auto elettriche si ricaricano in modo autonomo, scambiando energia con la rete. Dietro questa realtà ci sono specialisti che fino a pochi anni fa non esistevano: data scientist capaci di analizzare enormi quantità di dati per prevedere i consumi e ottimizzare le risorse, ingegneri delle energie rinnovabili che progettano impianti sempre più efficienti, esperti in cybersecurity che proteggono le infrastrutture da potenziali attacchi informatici. Figure come queste diventeranno sempre più cruciali per il futuro del settore energetico. In questo contesto, è importante sottolineare che la twin transition – digitale ed ecologica – impatterà tutti i territori, non solo le grandi città: anche i comuni più piccoli saranno protagonisti del cambiamento e avranno bisogno di professionalità all’altezza della sfida. Non solo, il cambiamento passa anche da chi saprà guidare questa transizione. Servono manager della transizione energetica, professionisti con una visione strategica, in grado di condurre le aziende lungo il percorso della decarbonizzazione e dell’efficienza. Gli specialisti in energie rinnovabili avranno un ruolo chiave nel progettare e mantenere tecnologie come il solare, l'eolico e l'idrogeno verde, fondamentali per ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili».

Allo stesso tempo, la gestione sostenibile delle risorse richiederà specialisti in economia circolare, capaci di sviluppare soluzioni per ridurre sprechi e promuovere il riciclo. E non possiamo dimenticare gli esperti in monitoraggio ambientale, sempre più cruciali per garantire che i nostri interventi rispettino l'ambiente. E poi ci sono le Cer, modelli innovativi di produzione e condivisione dell’energia, che richiederanno nuove competenze per essere sviluppati e gestiti. Inoltre, sul fronte della customer experience: l’energia diventerà sempre più un servizio personalizzato, costruito intorno alle esigenze del cliente, per questo, designer e specialisti dell’interfaccia utente avranno un ruolo fondamentale nel rendere l’accesso all’energia più intuitivo e semplice.

«In questo scenario - continua il manager - c’è una criticità che rischia di rallentare tutto questo: il mismatch delle competenze; per far fronte a queste sfide le imprese cercano, infatti, profili altamente qualificati, ma spesso faticano a trovarli. Da una parte, le università e i percorsi formativi tradizionali, spesso, non riescono a stare al passo con la rapidità del cambiamento. Dall’altra, il numero di giovani che si affacciano sul mercato del lavoro sta diminuendo: i dati demografici parlano chiaro: tra il 2015 e il 2020, il numero di studenti nelle scuole primarie italiane è calato di 107mila unità. Questo significa meno studenti all’interno delle scuole superiori e, conseguentemente, meno professionisti disponibili nei prossimi anni. Se non si interviene subito, il rischio è che il settore energetico si trovi a corto di talenti proprio nel momento in cui ne avrà più bisogno».

Un altro elemento fondamentale per costruire un futuro solido e sostenibile è il tema della parità a 360°. Se è vero che nel front office la presenza femminile è già ben rappresentata, è altrettanto evidente quanto il settore energetico, storicamente maschile, debba aprirsi a una partecipazione più equilibrata anche nei ruoli tecnici, gestionali e decisionali. Ma la parità non riguarda solo il genere: è inclusione delle diversità culturali, generazionali, cognitive, fisiche. Valorizzare queste differenze significa arricchire il settore con punti di vista nuovi, stimolare l’innovazione e costruire un ambiente di lavoro più equo e motivante per tutti.

Rispetto all’inadeguatezza delle competenze, le ricerche condotte confermano quanto le problematiche principali siano anche legate alla questione delle competenze trasversali, in particolare l’autonomia, la capacità di lavorare in contesti complessi e in continua evoluzione, l’imprenditorialità e le capacità relazionali. L’insegnamento delle soft skills, tuttavia, trova ancora poco spazio nei percorsi formativi, sia a livello scolastico che universitario, e oggi si apprendono principalmente nei contesti lavorativi.

Cosa fare?

Le aziende non possono limitarsi ad aspettare che il sistema educativo si adatti. Devono essere protagoniste del cambiamento. Collaborare con scuole e università per sviluppare percorsi formativi più vicini alle esigenze reali del mercato, creare programmi di aggiornamento per i lavoratori e investire nella formazione continua. Il concetto di “posto fisso” è ormai superato: oggi chi lavora deve essere pronto a imparare costantemente, aggiornando le proprie competenze per restare competitivo; È La logica del learn, unlearn, relearn: imparare, disimparare e reimparare. Un ciclo continuo di apprendimento che deve diventare la normalità.

Per affrontare un futuro technology-driven è necessario il possesso di un mix di nuove competenze digitali: alle competenze elementari di base, quali l’uso di tecnologie internet e di strumenti di comunicazione e collaborazione, andranno affiancate la capacità di utilizzare linguaggi e metodi matematico-informatici, di creare contenuti digitali e di gestire soluzioni in maniera innovativa, con un occhio alla cyber security e alla privacy.

Le metodologie di formazione stanno cambiando. Non si impara più solo in aula, ma attraverso strumenti innovativi che rendono l’apprendimento più efficace e coinvolgente. Le video pillole formative permettono di accedere a contenuti mirati in qualsiasi momento, i webinar e la formazione online eliminano le barriere geografiche e rendono il sapere accessibile a tutti. Ma pensiamo anche alla possibilità di fare simulazioni di conversazioni critiche, colloqui critici con obiettivi da raggiungere, con personaggi che interagiscono in tempo reale grazie all’intelligenza artificiale e alla possibilità successiva di rivedere le conversazioni tramite la realtà aumentata per capire dove siamo stati efficaci e dove non lo siamo stati e perché. La realtà aumentata e i giochi trasformano la formazione in un’esperienza immersiva, simulando scenari reali e permettendo di sviluppare capacità decisionali in contesti complessi. La gamification introduce elementi ludici nei percorsi di apprendimento, rendendoli più stimolanti e motivanti.

E poi c’è il ruolo chiave dei middle manager. Spesso concentrati sugli obiettivi di breve termine, rischiano di sottovalutare l’importanza di investire sullo sviluppo delle competenze dei propri team; eppure, sono loro il vero ponte tra il personale operativo e il top management. Se vogliamo che la trasformazione del settore energetico avvenga con successo, dobbiamo coinvolgerli attivamente, fornendo loro gli strumenti necessari per guidare il cambiamento. Non si tratta solo di digital skill, ma anche di soft skill: capacità di leadership, gestione del cambiamento, pensiero critico: tutte competenze che non sempre fanno parte del loro bagaglio formativo, ma che oggi sono indispensabili.

«Le utility del futuro non saranno solo tecnologiche, ma anche umane; l’innovazione non riguarda solo le macchine, ma anche le persone. E il successo di questo settore dipenderà dalla capacità di attrarre, formare e trattenere talenti, garantendo pari opportunità e un ambiente di lavoro che valorizzi il merito e la crescita professionale. Il settore energetico ha il potenziale per essere un motore di sviluppo, innovazione e sostenibilità, ma per farlo ha bisogno di persone preparate, capaci di adattarsi e di reinventarsi. Ecco perché il futuro non appartiene a chi aspetta, ma a chi investe sulle proprie competenze. L’unico modo per non rimanere indietro è uno solo: formarsi per non fermarsi», conclude Cimelli.



Gli investimenti nella transizione energetica


Raggiungere l’obiettivo di Net Zero entro il 2050 è una sfida tanto ambiziosa quanto imprescindibile per l’Italia e l’Europa che richiede una profonda trasformazione dei sistemi energetici e infrastrutturali, fondata su investimenti ingenti e costanti. In questo scenario, l’Italia si distingue per un’accelerazione significativa nei finanziamenti degli operatori nelle reti, registrando performance superiori rispetto a molti partner europei: una crescita rapida e tangibile. Tuttavia, per centrare l’obiettivo di un’economia a zero emissioni nette entro il 2050, saranno necessari ulteriori investimenti per circa 1.010 miliardi di euro per quanto riguarda i settori residenziale, terziario e della mobilità, per un totale di circa 40 miliardi di euro l’anno.

È quanto emerso dall’analisi di Agici. Il report analizza le strategie di investimento e le politiche di crescita adottate dai principali operatori italiani ed europei nel biennio 2023-2024, offrendo una panoramica sulle sfide e opportunità del settore energetico, con un focus sul ruolo strategico delle utility e delle reti nella transizione verso un futuro decarbonizzato.

L’indagine evidenzia come gli operatori italiani abbiano dimostrato un crescente impegno verso la transizione energetica, traducendola in azioni concrete. Dal 2023, gli investimenti complessivi nelle reti elettriche, del gas e del teleriscaldamento sono passati da circa nove a 10,5 miliardi di euro nel 2024, con un incremento del 18% da parte di multiutility e compagnie energetiche, e del 26% da parte degli operatori di rete, specialmente nelle aree di digitalizzazione, resilienza della rete, sostituzione e ammodernamento delle infrastrutture, e abilitazione al trasporto di idrogeno e biometano.

Dall’analisi emerge come la traiettoria di investimenti in Italia sia destinata a crescere ulteriormente, con una previsione di circa 14 miliardi di euro investiti nel 2025, 15 miliardi nel 2026 e circa 16 miliardi nel 2026.

Lo studio stima inoltre che entro il 2035 verranno realizzati investimenti complessivi per circa 64 miliardi di euro, di cui 26,4 miliardi provenienti da multiutility e compagnie energetiche e 37,6 miliardi da parte degli operatori di rete.

Nel percorso verso il Net Zero 2050 in Italia, un ruolo chiave è svolto anche dalle operazioni strategiche di fusione e acquisizione, che solo nel 2024 hanno raggiunto un valore complessivo di oltre cinque miliardi di euro. Tra le più significative ci sono quelle di Snam, con l’ingresso in Open Grid Europe, e di Italgas, con l'acquisizione di 2i Rete Gas, che hanno portato al consolidamento delle due aziende come operatori leader a livello europeo. Sulla stessa linea si collocano operazioni come l’acquisizione di Duereti da parte di A2A, che ha reso l’azienda il secondo operatore in Italia per contatori elettrici serviti, e quella di Egea realizzata da Iren. Chiudono il quadro l'accordo di Terna con Areti per l’acquisto delle infrastrutture in alta tensione nell'area metropolitana di Roma e l’acquisizione degli asset reti gas di A2A da parte di Ascopiave.

La leadership italiana si inserisce in un quadro europeo in evoluzione, dove gli investimenti nel settore energetico sono in costante crescita. Nel 2024, infatti, le principali compagnie energetiche europee hanno aumentato del 22% gli investimenti rispetto all’anno precedente, puntando in particolare sulla digitalizzazione, sull’integrazione delle fonti rinnovabili e sull’espansione internazionale. Stando alle stime di Agici, entro il 2028, il volume complessivo degli investimenti previsti in Europa raggiungerà i 66,7 miliardi di euro.

Ciononostante, il percorso verso la decarbonizzazione resta lungo e impegnativo. Agici stima che solo in Italia saranno necessari ulteriori investimenti per circa 1.010 miliardi di euro entro il 2050, per quanto riguarda i settori residenziale, terziario e della mobilità. A richiedere la maggior parte di investimenti è il residenziale - 785 miliardi di euro, di cui 545 destinati a interventi di efficienza energetica - seguito dal terziario con 185 miliardi. Per quanto riguarda il settore dei trasporti, sono 110 miliardi gli investimenti richiesti, da destinare principalmente alle infrastrutture: per raggiungere gli obiettivi Net Zero, si stima che dovranno essere installate 17.533 infrastrutture di ricarica e 691 stazioni di rifornimento di idrogeno.

La transizione in atto coinvolge tutte le infrastrutture di rete, incluse quelle elettriche, del gas e del teleriscaldamento, che dovranno essere ripensate e rinnovate in chiave fisica e digitale per accogliere fonti di energia pulita e supportare modelli avanzati di mobilità e riscaldamento. Una trasformazione profonda e interconnessa che può realizzarsi solo attraverso un impegno condiviso e strutturato da parte di tutti gli attori, pubblici e privati, chiamati a collaborare per costruire il sistema energetico del futuro.

Fonte: L'Avvenire

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